Perché andare al cinema? Perché c’è un buon horror…

 

Il nuovo Halloween di David Gordon Green non è un reboot, non è uno spin off, ma semplicemente e coraggiosamente…un seguito.

 

di David Della Scala

 

 

In questi tempi dove il primato della sala è messo in discussione dalle varie piattaforme domestiche, dai costi elevati del biglietto e da un’offerta non sempre all’altezza delle aspettative che mirati espedienti di promozione e fidelizzazione generano nel pubblico, andare al cinema a vedere un horror ha invece ancora un suo perché. Una sala in cui viene proiettato un film horror è popolata  da un’umanità molto varia: vi si radunano gli esigentissimi e un po’ pallosi conoscitori del genere, nonchè nutriti gruppi di ragazzini masticatori e lanciatori di pop corn e qualche coppia di fidanzati, che ha scelto un film a caso tra quelli in programmazione nel multisala per avere il pretesto di non dover parlare di mobili svedesi e vacanze in tailandia per almeno due ore. Così c’è chi segue il film in religioso silenzio come se fosse ad una retrospettiva su Kurosawa e chi commenta col vicino ogni fotogramma, magari per esorcizzare la tensione.

Si respira un’atmosfera di intrattenimento puro e di condivisione dello spazio in platea che forse chi è nato dopo il 1945 non ha avuto molte occasioni di percepire. Le proiezioni del cinema impegnato degli anni 70, le risate a comando della commedia anni 80, la piangolina dei film drammatici degli anni 90 hanno fatto subire il cinema al pubblico. E il pubblico, non appena ne ha avuto occasione, ha scelto di liberarsi da questo giogo e ad una proiezione in sala ha iniziato a preferire la visione domestica, perché si sa, almeno in casa propria… ognuno è padrone. Eppure il pubblico dell’horror che di certo ha tutti i mezzi legali o meno per consumare un film a casa in streaming, al cinema ci va ancora. E quando sullo schermo c’è una pellicola attesa, che è il seguito di un classico, la gente si arma di biglietto e di beverone a 4 euro e va a vederlo anche solo per il gusto di dichiarare ad alta voce sui titoli di coda: “Faceva più paura il primo.”

L’attesa per il seguito del primo film e le frecciate a Rob Zombie

E così Halloween, il seguito ufficiale del primo film di John Carpenter, da lui prodotto e diretto da David Gordon Green ha esordito due giorni fa al primo posto al botteghino italiano, incassando 129.386 euro. E per quanto prima dell’uscita del film circolassero voci e indiscrezioni su una supposta debolezza generale del progetto, presentato come l’ennesimo franchise dove Carpenter non aveva voluto “sporcarsi le mani” dirigendo direttamente, questo Halloween 2018 non solo è stato percepito dai fan di Mike Myers come il seguito ufficiale dell’Halloween del 1978, ma dopo aver visto il film è chiaro quanto sulla pellicola aleggi la benedizione del regista di Essi Vivono e La Cosa. Carpenter aveva lasciato trapelare un certo orgoglio per questa produzione durante un’intervista dell’anno scorso: dopo ripetute domande su un seguito di Halloween alle quali aveva preferito non rispondere, i giornalisti gli avevano chiesto perlomeno un commento su Halloween The Begginning e Halloween II, i film di Rob Zombie che nel 2007 e nel 2009 erano usciti nelle sale come prequel della saga.                                                                                Incalzato, Carpenter dichiarò:  “Rob è venuto da me facendomi un sacco di complimenti e  chiedendomi cosa ne pensassi della sceneggiatura… allora gli dissi: Halloween è lì a disposizione, tu hai già iniziato a girare, perciò va’ e fa la tua cosa. Ho visto i sui film, cosa ne penso? Penso che quel tizio, quello che interpreta Mike, è davvero troppo alto.”                                                                    E questa non è la sola frecciata diretta a chi si è cimentato nei film tratti dal suo soggetto: in un dialogo di questo seguito ufficiale i personaggi parlano dei primi omicidi di Mike Myers e liquidano le voci a proposito di una parentela fra lo psicopatico uomo nero e Laurie Strode, alla base della sceneggiature di Rob Zombie, come ridicole “storielle” per rassicurare chi è tanto stupido da cercare una motivazione a tanta ceca furia omicida.

Nuovi e vecchi elementi

Imponendosi come ufficiale secondo capitolo delle vicende sanguinose nella cittadina di Haddonfield, Illinois, il film proietta tutta la storia 40 anni dopo ai fatti dell’Halloween del 1978. Mike Myers è rimasto per tutto questo tempo silenzioso e rinchiuso nel manicomio di Smith Groove. Allo stesso modo Laurie Strode, interpretata da Jamie Lee Curtis è invecchiata prigioniera della paranoia e ha vissuto un’esistenza di reclusione nella sua casa che col tempo ha reso una fortezza, lasciando fuori da essa i rapporti con la figlia e la nipote che la credono semplicemente traumatizzata dall’incontro con un assassino oramai innocuo. Ma per la seconda volta Mike riesce a fuggire dal manicomio e le paure di Laurie si rivelano profetiche. Ed è proprio su questa dicotomia che rende l’assassino incarcerato per i suoi crimini e la vittima prigioniera della paura simili e interscambiabili che si basa tutta la sceneggiatura. Una sfumatura psicologica nuova e complementare al primo film che dona tridimensionalità ai personaggi e alle vicende senza privare lo spettatore dell’immediatezza con la quale il vecchio Halloween tratteggiava gli avvenimenti sullo schermo e che non aggiunge inutili sbavature alla figura di Mike Myers, confermandolo come essenziale e definitiva incarnazione del male.

Il set di Halloween, un giocattolo meccanico che continua a stupire

La regia di Gordon Green è densa di rimandi al primo film: gioca con gli spettatori proponendo varianti e rielaborazioni della modalità degli omicidi, ma soprattutto rende omaggio al modo in cui Carpenter utilizzò il set e sperimenta nuove possibilità. La strada di Haddonfield, popolata di maschere di Halloween e le case che vi si affacciano tornano ad essere luoghi di massacro nei quali il vetro di una finestra può riflettere il volto dell’assassino, un cespuglio può apparire un rifugio, ma anche dove l’intermittenza di un moderno sensore di movimento in un giardino diviene un effetto da teatro del macabro. Il set della cittadina dell’Illinois è un mirabile ingranaggio come lo stabile di Una finestra sul Cortile, nel quale la telecamera di Green si permette di penetrare e esplorarne le stanze.

E poi la casa fortezza di Laurie. Un set aggiuntivo dove Green muove una credibilissima e tonica Jamie Lee Curtis, tra trovate in soggettiva e sapiente uso della suspense.

Questo nuovo Halloween ha rispetto per il primo film, arricchisce il suo immaginario e continua a divertire senza essere un reboot, uno spin off o un’altra qualsiasi etichetta anglofona che deve essere assegnata ad un titolo famoso per meritarsi motivo di esistere. Un buon film, un’occasione per andare al cinema e godersi due ore di sano intrattenimento di genere.