Cortocircuiti e vampate di sublime

 

I Gogmagog portano in scena il loro spettacolo intorno alla figura del digiunatore professionista Giovanni Succi e deragliano…nel sublime

Di David Della Scala

 

A cavallo tra l’ottocento e il novecento il digiuno divenne un’arte. Le cronache mondane erano popolate da resoconti su strani individui che si prestavano all’interesse del pubblico e della scienza astenendosi dal consumare cibo per giorni e giorni. Chiusi in una gabbia, esaminati da fisiologi e giornalisti, stavano alla mercé dei curiosi che per vederli digiunare pagavano un biglietto.

Per noi contemporanei tutto questo può sembrare assurdo, incomprensibile. Qualche anima bella potrebbe anche scomodare il termine “disumano”. E invece non c’è niente di più umano e di più contemporaneo, perché allora come oggi vige un paradigma sempre valido per descrivere ciò che muove l’interesse del pubblico, sia esso quello di un circo di freak o la platea di utenti di un social network. Un paradigma composto da tre parolette magiche: Curiosità, morbosità, crudeltà.

La curiosità che attira l’attenzione, la morbosità che la fidelizza e la crudeltà che la rende un piacere. Questo è il circo, questa è la vita messa su un palcoscenico e questa è la licenza che un digiunatore come il concorrente di un talent show, deve concedere al suo pubblico.

In Giovanni per campare digiunava, in scena al Teatro Studio di Scandicci, il gruppo  Gogmagog riflette su chi ha fatto della sua vita un circo, partendo dalla figura di Giovanni Succi, il digiunatore romagnolo che divenne oggetto dell’attenzione parascientifica tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo. Il testo scritto da Virgilio Liberti è frutto di un progetto che si è alimentato anche degli esiti di un laboratorio di approfondimento con gli studenti dell’istituto Russel Newton e del Sassetti Peruzzi, incentrato sul romanzo Un Digiunatore di Franz Kafka e sulla ricerca storica a proposito del Succi, morto a Scandicci nel 1918.

Lo spettacolo ha inizio e subito viene apertamente dichiarata la sua natura multimediale: l’azione scenica dialogherà con le proiezioni video e gli interventi musicali e di repertorio, in un gioco di citazioni e rimandi. Una donna barbuta appare sul palco e annuncia che quello che vedremo sarà un circo dei cortocircuiti. E proprio questo personaggio, interpretato da una bravissima Rossana Gay, farà da perno e da legante per tutti i linguaggi della rappresentazione, col suo ruolo perennemente in bilico tra presentatrice di avanspettacolo, capocomica, medium e bistrattata monologhista. Così tra il contributo video di un’improbabile intervista alla cittadinanza di Scandicci e l’apparizione dei numerosi personaggi, nati del trasformismo degli altri tre attori della compagnia, Cristina Abati, Carlo Salvador e Tommaso Taddei,ecco che viene introdotta la figura del digiunatore Giovanni Succi. 

Eppure fin da subito si ha come l’impressione che la storia del Succi, che per come questo spettacolo è stato presentato dovrebbe stare centro della narrazione, vesta un po’ stretta ai quattro attori e all’autore del testo che invece sembrano scalpitare, ansiosi di dire qualcos’altro. Effettuati i convenevoli istituzionali, a poco a poco i Gogmagog straripano (piacevolmente e finalmente, a modesto parere del sottoscritto articolista) in un discorso più ampio, meno lineare e certamente più consono alle loro corde. Lo spettacolo si tinge dei colori del non sense, del vero cortocircuito, del sapiente anarchismo e così affiorano temi ben più efficaci: la prigionia di chi vive il suo ruolo nel circo della vita, il disprezzo e l’ignavia di chi lo sta a guardare, l’ingratitudine del pubblico per l’attore… e l’inspiegabile magia e bellezza che sta in tutto questo.

Liberati dai vincoli i Gogmagog incantano e raggiungono il sublime come nell’ipnotico monologo della donna barbuta che racconta la sua esperienza alla cassa nel circo itinerante del digiunatore , o con l’apparizione anacronistica di un King Kong sciovinista abbattuto da un infantile aviatore.

Mettiamola così:”Giovanni per campare digiunava” è un bel progetto, una bella iniziativa, un grande esempio di dialogo tra cultura e istituzione, ma nel quale i Gogmagog non sono riusciti a fare a meno di essere geniali.