Dall’oscurità di una notte buia alla luce di una stella

Ancestrale e al contempo innovativo Antropolaroid è un’istantanea che si sviluppa davanti ai nostri occhi

Di David Della Scala

La nostra famiglia. Un abisso strano, caldo e scuro. Lo scenario dal quale staccarsi, partire, quell’Apeiron dal quale tutti vorremmo essere generati, non creati. E visto che stiamo a chiedere, possibilmente di differente sostanza dal padre.

La notte in cui Antropolaroid nacque nella sua testa, Tindaro Granata si trovava sospeso nel tempo e nello spazio, in equilibrio sul vuoto. Dalla Sicilia e dalla sua Tindari era ormai partito due volte, una di troppo per recitare la parte del figliol prodigo. E cosa ancora peggiore, erano passati già troppi anni da quando aveva esordito come giovane fenomeno sulla scena nazionale per poi dover mollare tutto a causa di un infortunio. Molte volte durante qualche provino gli era stato chiesto: “Chi sei, da dove vieni?” e lui in maniera semplice e sbrigativa aveva sempre risposto: “Tindaro Granata, da Tindari.”

Eppure quella notte di vuoto dove tutti gli sforzi di una vita cominciavano ad apparirgli inutili, capì che per quanto gli fosse sempre sembrato di aver condotto una vita da intrepido, c’era invece una prova di coraggio che non era mai riuscito a compiere: chiedersi veramente chi fosse Tindaro Granata e cosa fosse Tindari per lui. Quindi si fece forza e tanto per cominciare… si scattò una foto.

Antropolaroid è quella foto. Ma non la foto già appesa, in bella mostra. Ogni volta che viene messo in scena si è spettatori dell’intero processo chimico di quell’autoscatto che dall’oscurità del suo riquadro comincia a dipanarsi in forme sempre più nitide. Lo spettacolo inizia col buio, in sala e sul palcoscenico e poi appare una luce, dentro la quale c’è un uomo. E’ il bisnonno di Tindaro, un uomo antico, che nell’apprendere della sua malattia e della scarsità di soluzioni che la scienza moderna ha da proporgli per cura vive il primo scontro tra l’immutabilità ancestrale del suo mondo e la spietata disillusione del progresso. Un tema che ricorrerà spesso all’interno di Antropolaroid dove Tindaro Granata interpreterà tutti i personaggi della sua famiglia in quella Sicilia tra gli anni 20 e gli anni 90. Solo sul palco con pochi gesti, senza alcun costume se non la sua giacca ripiegata sulla testa per simulare lo scialle della meravigliosa bisnonna, tanto adirata col marito per essersi suicidato lasciandola sola e incinta da sputare sovente sulla sua tomba, l’attore siciliano è la luce di questo autoscatto che vediamo formarsi davanti ai nostri occhi. È lui la luce che estrae i personaggi dalle tenebre dietro al proscenio, è la luce che li plasma dall’ombra. Certamente la sua mimica e l’utilizzo della voce perennemente in equilibrio tra il racconto diretto al pubblico e l’interpretazione dei diversi personaggi, sono magistrali. Ma è l’uso dello spazio scenico e il saper disporre il proprio corpo e addirittura la direzione del suo sguardo rispetto alle zone di ombra e di luce la vera chiave di questa straordinaria prova d’attore. Attraverso buio e illuminazione Granata ci racconta ciò che può essere raccontato e mima ciò che non può essere detto.

Perché ogni famiglia ha una sua Notte Buia, un segreto innominabile che ne condiziona il destino e dal quale tutti i suoi discendenti non riescono a distaccarsi. Eppure dalla notte buia in cui il nonno di Tindaro si fece schiavo della violenza e di Don Badalamenti, attraverso il tempo e le generazioni alla fine la maledizione della schiavitù morale e materiale verrà spezzata. Non tanto con la fuga dalla Sicilia di suo nipote, aspirante attore, ma proprio in quella notte di sofferenza e insieme di fortuna e di bellezza nella quale quel ragazzo sospeso nel vuoto di una città lontana capì di dover smettere di gridare fuori e dentro di sé: “Io sono io… e di certo non sono voi.” e con tutto il coraggio che potè mettere insieme scelse di scattarsi questa AntroPolaroid.

E alla fine dello spettacolo eccola la foto, del tutto sviluppata: è quel ragazzo che sta sul palco davanti a noi, ancora vestito con gli stessi pantaloni e la stessa giacca da cameriere che indossava quella notte. Un giovane uomo che da bambino la bisnonna mise sotto la luce di una stella perché essa lo proteggesse. E gli donasse una vita di fortuna, bellezza e di sofferenza: perché senza sofferenza non è possibile alcuna bellezza, né fortuna.

E senza il coraggio di Tindaro Granata, non ci sarebbe tutta l’onestà e la meraviglia di questo straordinario spettacolo.