
Il nuovo spettacolo di Alessandro Riccio è un generatore di suggestioni
Di David Della Scala
Essere il centro dell’universo è un lavoro a tempo pieno. E per lui e per le persone che gli orbitano intorno, l’architetto Giulio Spadon è il centro dell’universo: Giulio Spadon che irradia tutti di energia, Giulio Spadon che con una parola fa luce nelle vite di tutti, Giulio Spadon… che un bel giorno esplode e rischia di incenerire con una fiammata termonucleare se stesso e i suoi pianeti satelliti.
Serrature è la storia di questa devastante esplosione, la storia della crisi di un uomo di successo che all’improvviso si guarda attorno e realizza quanto il suo mondo sia basato su un unico principio: lui che dà agli altri. E quando un volta tanto sta per ricevere qualcosa in cambio, un importante riconoscimento per la sua carriera di architetto, ogni cosa dentro di lui va in frantumi: la sua disponibilità, la sua professionalità e soprattutto la tenuta della sua sanità mentale. L’architetto Giulio Spadon che per tutti, lui compreso era come un supereroe, adesso assomiglia a Superman, ma dopo una micidiale esposizione alla famigerata kryptonite.
Col suo nuovo spettacolo Alessandro Riccio si avventura in un territorio inedito per la sua drammaturgia. Rispetto ai lavori precedenti, Serrature è una commedia dal respiro più universale, quasi esistenzialista. In ballo ci sono temi complessi come il rapporto con gli altri, la costruzione dell’io e di una propria avventura umana, il fraintendimento del ruolo sociale e affettivo. Ma per quanto lo spettacolo testimoni un’indubbia riflessione su questi argomenti, il testo non sempre riesce a scioglierne la profondità.
Andiamo con ordine: come sempre Riccio ha dato vita ad un bellissimo personaggio, in bilico tra l’esasperato narcisismo e la generosità compulsiva. Insomma, Giulio Spadon ad una prima occhiata fa ridere per il suo aspetto caricaturale ma poi risulta complesso, adorabilmente vero e vivo, in pieno stile Alessandro Riccio. Forse uno dei trasformismi più riusciti della sua galleria. E con lui sulla scena gli altri attori della compagnia confezionano mirabilmente i personaggi satelliti di Spadon: la moglie ossessionata dalle diete e perennemente in attesa della vacanza perfetta (Piera Dabizzi), l’amico d’infanzia che dopo una delusione d’amore si è rifugiato nel giardinaggio (Francesco Gabbrielli), il giovane nipote aspirante pittore (Vieri Raddi), il compiacente socio anziano dello studio di architettura (Amerigo Fontani) e l’analista bramosa di trovare nell’esaurimento nervoso di Giulio una nuova sindrome alla quale affibbiare il proprio nome (una bravissima Daniela D’Argenio Donati). Cinque attori sempre presenti contemporaneamente sul palco, ma confinati ognuno nel proprio ambiente che si accenderà e diventerà il centro dell’azione solo quando Giulio Spadon li visiterà l’uno dopo l’altro più e più volte, per interagire con loro in una spirale sempre più vorticosa.
Una trovata di regia particolarmente riuscita, un cut up narrativo accattivante che nella mente piacevolmente suggestionata del sottoscritto articolista, ha reso il protagonista di Serrature simile all’Alberto Sordi del finale di “Finchè c’è guerra c’è speranza” o al Mastroianni nell’ harem di “Otto e Mezzo”: un uomo desiderato da tutti e compreso da nessuno, naufrago nella costellazione dei rapporti che lui stesso ha creato.
Così lo spettacolo scorre e diverte, l’interplay dei suoi bravi interpreti e la chiamata delle risate in platea funzionano. Ma chi ha recepito in questa commedia la sua implicita dichiarazione di intenti non può non avvertire un certo dissolvimento dei propositi lirici iniziali. Si indugia sulle trovate situazionali lasciando un po’ a bocca asciutta chi, a torto o a ragione, si aspetterebbe prima o poi la comparsa di una chiave che almeno tenti di aprire il lucchetto che custodisce a doppia mandata la soluzione dell’intreccio narrativo e tematico.
Eppure Serrature profuma di una sua fragranza. Sebbene a tratti trincerato nella sicurezza dell’appiglio comico, traspare tutta la sua piacevole avventatezza di fondo. Ne è testimonianza il monologo finale di Riccio che con coraggio e schiettezza cerca di chiarire al pubblico il cuore delle motivazioni che spingono l’agire del suo personaggio: l’intento di costruire sinceramente qualcosa vale più del risultato fine a se stesso.
Parole che da semplice dispositivo narrativo potrebbero invece diventare la chiave per sbloccare questa grande, mirabile…serratura.
TEDAVÌ 98
SERRATURE
con Alessandro Riccio, Amerigo Fontani, Daniela D’Argenio Donati,
Piera Dabizzi, Francesco Gabbrielli, Vieri Raddi
luci Lorenzo Girolami
costumi Daniela Ortolani
aiuto regia Amina Contin
scenografia Carlotta Busignani