
Il DJ inglese si esibirà a fine mese, ma Firenze dorme… e non lo sogna.
Si avvicina il 30 marzo di questo confuso 2018, data in cui si terrà il live set al Tenax di Firenze di un certo 54enne inglese chiamato Quentin Leo Cook, meglio noto come Norman Cook e ancor più noto con lo pseudonimo di Fatboy Slim. Nome grasso e grosso che a sentirlo fa subito tornare indietro di una ventina d’anni, quando il nostro si inventò a suon di piatti e sample quella miscela di dance, r&b e breakbeat che venne poi definita Big beat e che tanto caratterizzò la musica degli anni 90.
Eppure il ritorno a Firenze di questo famosissimo Dj inglese e per giunta al Tenax di via Pratese, che rimane uno dei più bei posti dove andare a sentire musica elettronica in giro per l’italia, sta passando sui social un po’ in sordina, quasi snobbato dagli appassionati di musica, night clubber e presenziatori di eventi che generalamente abbondano nella nostra bella e crudele città. A poco servono i calorosi appelli di Fatboy Slim, che Il 16 marzo ha visto ristampare dalla BMG You’ve Come A Long Way, Baby, suo secondo album (inarrestabile raccolta di singoli, da Right Here, Right Now a Praise You) e che su Twitter continua a prodursi in apprezzamenti sul pubblico fiorentino che, sempre al Tenax, lo accolse con tanto affetto appena un anno fa.
E allora, qual è la ragione di tanta freddezza? Il pubblico italiano è famoso da sempre per la sua radicalità: in Italia o piaci o te ne vai affanculo, in entrambi i casi per sempre (o fino al prossimo reboot). Ogni via di mezzo, ogni compromesso, è solo foriero di fraintendimenti. Insomma per il pubblico italiano non c’è niente di peggio di qualcuno che cerchi di mantenere due profili. Di conseguenza la figura di un dj produttore come Fatboy Slim, autore sia di singoli immortali che di colonne sonore per videogiochi della playstation e che nel contempo suona nei club con il semplice intento di far ballare la gente, rischia di venir percepita come quella di un impiegato della musica, di un testimonial per accessori da dj, che per meritarsi rispetto dovrà aspettare i suoi settant’anni quando il pubblico dei suoi primi dischi sarà abbastanza varicoso e appesantito da commuoversi al ritmo di Weapon Of Choice e sbiascicare “Era la nostra musica”.
Per quanto valga la mia opinione, il sottoscritto non è mai stato un grande amante di Fatboy Slim e neanche dei Chemical Brothers, che mi sono stati sempre presentati come il lato “nobile” del Big Beat. Ma quello che proprio non riesco a capire è l’eccessiva serietà con cui questa musica viene ricordata oggi, l’aspettativa assurda su qualcosa che aveva perlomeno il merito di essere puro divertimento danzereccio.
La vera lezione che dovremmo imparare dagli artisti e dal pubblico inglese è forse quella di essere meno seri con chi vuole solo far divertire e ballare la gente e più risoluti con tutti quei fenomeni della musica, anche nostrana, che intendono farsi belli e importanti senza portare nessuna innovazione e contenuto.
Quindi fate un piacere: se ballavate Fatboy Slim quando avevate 20 anni, andate a sentirlo al Tenax, che non costa neanche tanto. Magari rincontrerete quella vostra compagna di università e magari, chi può dirlo, stavolta va a finire che ve la da. Così state un po’ zitti e fate meno i seri.
David Della Scala