
Da oggi anche in Francia il conteggio degli ascolti in streaming sarà basato solo sugli account registrati. Ma come si decide se un disco è “d’oro”?
Una volta c’erano i dischi, si vendevano, si contavano e la storia della musica era fatta. Le cifre erano da capogiro: Thriller di Micheal Jackson? A solo un anno dalla pubblicazione aveva già venduto 27 milioni di copie. Pop, l’album dei Backstreet Boys targato 1999 in una settimana vendette 1 milione e 134 mila copie. Il primo Disco d’oro della storia della musica fu un 78 giri: quello che conteneva I Know Why e Chattanooga Choo Choo di Glenn Miller, che nel 1942 vendette un milione di copie. Naturalmente prima dell’avvento di internet, la soglia che decideva se un album fosse d’oro, di platino, d’argento o di balsa cambiava di anno in anno, alzandosi e abbassandosi a seconda degli andamenti di vendita o del paese in cui vendeva venduto. Ad esempio, nel 1981 al 33 giri La Voce Del Padrone di Franco Battiato “bastarono” le 250.000 copie per aggiudicarsi il titolo di disco d’oro. Insomma le varianti c’erano, ma diciamo che fino ad un certo punto il metodo per misurare il successo di un album era “semplice”.
Poi arrivò internet, e fu il caos. Non so se ricordate un furibondo Lars Ulrich, batterista e anima imprenditoriale dei Metallica che con lo sguardo iniettato di sangue rilasciava furibonde dichiarazioni contro Napster, il neo nato servizio Peer To peer che permetteva agli utenti di scambiarsi gratuitamente brani musicali on line. La band depositò il 13 aprile del 2000 addirittura un atto ufficiale presso la United States Court for the Northern District of California, puntando il dito contro il binomio internet/pirateria che allora sembrava scontato. Oggi tutto questo sembra preistoria e gli stessi artisti che all’alba del nuovo millennio erano preoccupati dall’avvento di internet hanno imparato a cavalcare i click e i download che milioni di fan quotidianamente applicano ai loro brani.
I dischi non si vendono più, almeno fisicamente. In tutti i paesi le varie istituzioni di monitoraggio (Bill Board per gli Stati Uniti, Fimi per L’italia, Uk Chart per il Regno Unito ad esempio) sono alla costante ricerca di una formula che riesca ad esprimere la corrispondenza tra streaming , download e album venduti.
Tanto per dare un’idea, cerchiamo di fare una media dell’equazione che i vari istituti utilizzano per redarre le classifiche di vendita. La situazione dovrebbe assomigliare a questa:
130 ascolti in streaming = 1 download = 1 Copia di un Singolo Venduta.
Fino a pochi anni fa, si conteggiavano sulle varie piattaforme di ascolto, sia le utenze non registrate che quelle riconducibili ad un account personale, indicizzandole e confrontandole con complicati algoritmi e percentuali, ma negli ultimi tempi il numero crescente di registrazioni ufficiali degli utenti, complici le app degli smartphone e i prezzi di utenza sempre più accessibili hanno spinto chi monitora gli andamenti di vendita della musica a considerare nel conteggio solo gli utenti registrati con regolare account premium, cioè a pagamento. In Italia, questo nuovo metodo, è stato adottato già dallo scorso anno e così in Germania.
A partire dal 27 aprile 2018, anche la SNEP, Syndicat National de l’Edition Phonographique, corrispettivo cisalpino della Federazione Industria Musicale Italiana inizierà ad utilizzare questo metodo. In Francia il numero di utenti possessori di un account a pagamento si aggira intorno all’83%, una media ritenuta ottimale per avere il polso della vendita dei dischi nel paese. Contestualmente sono stati cambiati anche i parametri di certificazioni dei dischi d’oro (15 milioni di passaggio streaming invece dei precendenti 10), di platino (30 milioni invece di 20) e di diamante (50 milioni invece di 35).
Tirando le somme: il modo di usufruire della musica è cambiato da un pezzo e anche se un po’ in ritardo l’industria discografica se ne sta accorgendo. Ma le sue nuove politiche in merito sono molto di più che un “correre ai ripari”. Sebbene molti storcano la bocca quando si riflette sull’effettiva affidabilità di questi dati, non va sottovalutato l’effetto promozionale che questi possano avere sul pubblico. Mi spiego meglio: in un mondo in cui l’utente medio ha la sensazione che quello che che passa sulla sua bacheca e che gli viene suggerito sia una proposta fatta su misura appositamente ed esclusivamente per lui, se un disco viene dichiarato d’Oro, poco importa se in realtà non lo sia, perché grazie ai click che quella qualifica provocherà sul titolo, per fede o per dubbio, non solo d’Oro lo diventerà presto, ma si avvierà velocemente a diventare di Diamante. Inquietante? Forse. Ma in fondo nell’industria discografica è sempre stato così: ancor prima della televisione e di internet c’è sempre stato un solo efficace medium per il successo: il caro vecchio pubblico. Più o meno cosciente.
David Della Scala