Fabrizio Corucci: il nobile mestiere di un caratterista

L’attore pisano ci parla del suo personaggio in “Non mi hai più detto ti amo” e della passione per i grandi caratteristi del cinema italiano.

Di David Della Scala

 

Non mi hai più detto ti amo, la commedia di Gabriele Pignotta che è in scena al Teatro Verdi fino al 4 Novembre, racconta la storia di una famiglia, della sua crisi e di tutto quel che di buono una crisi sa portare.                                                                                  A fianco dei protagonisti, Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia c’è Fabrizio Corucci nei panni del signor Morosini. Lo abbiamo raggiunto al telefono per fare due chiacchiere con lui sullo spettacolo. Ne è scaturita un’interessante conversazione sul suo personaggio, sul mestiere dell’attore e su ciò che viene definito “basso” e “alto” a teatro.

 

 

Non mi hai più detto ti amo racconta la crisi che d’un tratto investe una coppia e i suoi figli. Ma nella vicenda c’è anche un terzo, anzi quinto incomodo: il tuo personaggio, il Signor Morosini. Ci parli un po’ di lui?

Il signor Morosini è l’elemento che spezza un po’ la storia, il diversivo comico che permette di contrapporre dei momenti di leggerezza ai momenti di riflessione e di tensione nel testo. Morosini è il classico rompiscatole, il paziente che nessun dottore vorrebbe.  Pur sapendo che Giulio, il suo dottore, interpretato da Giampiero Ingrassia, è semplicemente un medico della mutua Morosini lo scambia per il suo psichiatra costringendolo a delle sedute psicoanalitiche.

Insomma, anche lui è alla ricerca di affetto, di attenzione?

Assolutamente. E’ un personaggio rovinato dal rapporto con la madre, che più che difficile è stato assente. Infatti dall’inizio alla fine non fa che parlare di quanto avrebbe voluto una madre che lo avesse trattato come le mamme degli altri bambini trattavano i loro figli.

E quindi tocca al Dottor Giulio fargli da mamma?

No, non esattamente. Non voglio spoilerare niente, ma alla fine Morosini sarà più utile a Giulio di quanto ci si aspetti.

Rileggiamo insieme il titolo: Non mi hai più detto ti amo. Ti amo: sono due parole. Ora, le parole sono importanti, ma bastano solo queste due parole o ci vuole anche qualcos’altro?

Eh no, non bastano le parole, ci vogliono anche i fatti. Questa commedia è proprio giocata su questa cosa: non basta dire ti amo per poi veramente amare una persona. Può essere un inizio ma si deve avere la costanza durante tutta la vita e i giorni trascorsi insieme non solo di dimostrarle l’amore, l’affetto ma anche il rispetto e l’orgoglio nell’avere a fianco una persona così importante.

Pensi che in una coppia il valore di sentirsi dire “ti amo” cambi col tempo?

E’ sempre piacevole sentirselo dire (ride). Ma oggettivamente credo che la prima volta che due persone si scambiano reciprocamente il “Ti amo” rimanga unica  e indelebile. Poi sta a noi rinnovarlo con sempre nuovi contenuti.

Fabrizio Corucci, parliamo un po’ di te: come formazione sei un musicista, un cantante…

Guarda, come ho detto in qualche altra intervista mi manca solo di fare la ballerina classica (ride). Io nasco come cantante lirico. Ho debuttato come baritono e poi ho avuto la fortuna di incontrare un grande maestro: Saverio Marconi. E’ stato lui ha darmi la possibilità di fare Frankenstein Junior insieme a Giampiero Ingrassia.

Lì interpretavi la Creatura, che nel film di Mel Brooks era il mitico Peter Boyle. Quindi…tip tap?

Assolutamente. Ho studiato il tip tap per eseguire quella scena.

Sei stato la Creatura in Frankenstein Junior, Mangiafuoco e il direttore del circo in Pinocchio il Musical e poi in Se il tempo fosse un Gambero di Garinei e Giovannini, sempre con la regia di Saverio Marconi, interpretavi il ruolo del Demonio.        Nella tua carriera la tua voce è sempre andata a braccetto con la tua figura, quindi ti chiedo: la definizione di caratterista ti piace, ti descrive, ti accontenta?

Assolutamente si. Quello del caratterista è un mestiere nobile… e anche difficile. Mi è capitato di affrontare caratteri molto diversi tra loro: ad esempio in The Bodyguard  ero un italo americano un po’ truce, taciturno, violento. Ed è questo il divertimento di fare il caratterista: non fare sempre la stessa cosa e cercare di dare carattere a personaggi differenti. Sono molto onorato di esser apprezzato come caratterista ed amo la generazione dei caratteristi della commedia all’italiana, perché erano per prima cosa degli attori immensi. Gianni Agus ad esempio era un attore che ha fatto Pirandello, che ha fatto di tutto, poi chiaramente è ricordato per essere il cattivo in Fracchia, la Belva umana.

In Italia si ha come l’ impressione che il musical e il teatro di prosa debbano rimanere due oggetti ben distinti, da maneggiare e proporre separatamente. Invece cosa hanno in comune secondo te?

Posso dirti che la mia scuola è stata vedere tanto teatro: fare abbonamenti, avere la possibilità di vederne il più possibile. E devo dire che tra teatro di prosa, musical, teatro di intrattenimento e il cosiddetto teatro impegnato non c’è tutta questa differenza.  La differenza sostanziale, secondo me sta solo tra un prodotto buono e un prodotto fatto male, tutto qua. Avere la spocchia perché fai Beckett anziché De Benedetti è stupido. Come sentirsi superiori se si mette in scena Brecht invece di Grease, quando se vogliamo Brecht è un ante litteram del musical: non sono così lontani, tutto sommato.

Tu sei toscano, di Pisa. Che ci dici dei tuoi progetti locali?

Quest’anno abbiamo festeggiato i 26 anni della Compagnia della Tartaruga, che fondammo a Pisa nel 92. Una compagnia che mi ha fatto crescere che ha fatto crescere i miei amici e compagni di avventura. Per quanto abbia dovuto allontanarmi ultimamente ho scritto uno spettacolo per loro, dal titolo Dilettanti. E poi c’è la Radio Orchestra, un altro progetto molto importante nato nel 2004 alla Rai di Firenze quando festeggiavamo gli 80 anni della radio con Umberto Broccoli. Si tratta di un’orchestra di 8 elementi: eseguiamo i classici della radio Italiana dagli anni 20 fino al 1954, l’anno in cui arrivò la televisione con il conseguente cambio di sonorità e di ritmi. Quello in cui la radio era l’unica voce ufficiale è stato un periodo molto importante per la nostra nazione.